Nasciamo realmente e simbolicamente immersi in situazioni gruppali: nessun essere umano sopravvive senza un gruppo e, d’altronde, siamo costituiti da gruppi di cellule organizzati e profondamente interconnessi e da gruppi di organi organizzati in apparati e sistemi, costantemente in comunicazione. A volte le nostre gruppalità interiori e sociali prendono forme e dinamiche non funzionali e perdiamo l’armonia e la concertazione dei legami e delle parti di noi, che quando sono in equilibrio consentono di sperimentare energia, centratura e senso. Su tale premessa ed osservando la nostra conoscenza approfondita delle teorie, delle prassi e delle nuove pratiche dei gruppi, possiamo affermare che il Piccolo Gruppo Terapeutico è la dimensione in cui potersi sperimentare nelle relazioni, in un contesto protetto dove si evidenziano i legami, i conflitti, le rappresentazioni inconsce, i sistemi di credenze, i legami di attaccamento, il passato che condiziona il presente, il presente che ristruttura e riordina il passato.
I Fattori Terapeutici del lavoro in Piccolo Gruppo, a nostro avviso formidabili e specifici, sono stati individuati da Irvin Yalom (2005). Qui ne diamo una proposta ampliata e modellata sulla nostra esperienza, non illudendoci tuttavia che possa essere una categorizzazione esaustiva. La bellezza del nostro operare è anche nel sentire che nulla di ciò che è umano può mai essere saturato e ridotto, né sfugge a potenzialità di infinito miglioramento nei processi di crescita e di consapevolezza.
- Infusione della speranza, dove la parola speranza è intesa nel suo senso etimologico più antico, dalla radice sanscrita “spa” cioè “tendere verso una meta”. Il gruppo aiuta a vedersi in un progetto futuro, ad avere una meta, ciascuno la propria, da raggiungere attraverso un cammino condiviso, in cui a turno l’uno sta nella scia dell’altro, come quando si pedala in squadra ed i flussi di aria prodotti dall’avanzare pedalando, facilitano l’avanzare di chi è dietro, ma non troppo indietro.
- Universalità. Non siamo soli nel nostro sentirci soli, nel nostro disagio, nel nostro sentirci sbagliati, attaccati, sopraffatti, isolati, unici e incompresi, migliori di tutti o peggiori in assoluto, confusi, devitalizzati, irrigiditi o frammentati, annoiati ed affamati di giustizia, affamati e basta, non si sa di cosa. Nel gruppo si realizza un’appartenenza, inizialmente legata alle ferite, all’essere simile, al bisogno di ritrovare le risorse, di ritrovare i propri stati migliori, successivamente diviene appartenenza legata agli obiettivi ed alla differenziazione di Sé dall’altro.
- Informazione, anzi in – formazione. Nel gruppo è possibile riscoprire il proprio “istinto epistemofilico”, il piacere connesso al sapere, il piacere connesso al “sapersi”. Spesso nei primi incontri di gruppo le persone entrano in assunto di base di “attacco e fuga” o di “accoppiamento” o di “dipendenza” dinamiche descritte da W. Bion di cui non trattiamo in questa sede. Il gruppo viene vissuto quindi come un luogo che ci informa passivamente di un pericolo o di un buon nutrimento o di una aspettativa futura. Progressivamente, se il gruppo funziona e si crea una matrice condivisa, il gruppo stesso, e ciascuno nel gruppo, sente di prendere forma, di essere in un processo di formazione, di essere libero di apprendere e trasformarsi.
- Altruismo. Si impara ad ascoltare e a dare spazio all’altro, chiedendo al proprio ego di attendere, di essere “uno fra altri”, di non potere entrare sulla scena ad ogni costo, soprattutto se il costo può essere l’esclusione dal gruppo o la competizione con gli altri. Competizione che si realizza positivamente nel prendere coscienza del fatto che sta sempre a noi esserci, trovare il proprio modo per mostrarci nella nostra autenticità. L’altro viene quindi sentito come polo di risonanza, in cui rispecchiarsi differenziandosi.
- Ricapitolazione correttiva del gruppo primario familiare. Si vivono relazioni migliori, si fanno esperienze emozionali correttive che si inscrivono in reti neurali che sostituiscono gli schemi relazionali disfunzionali, connotati da caos, freddezza, inversione di ruolo, a volte violenza, spesso ambivalenza. Nello sperimentare esperienze relazionali ed emotive alternative, si riscrive il proprio “copione dei valori” che è il proprio ma che nello stesso tempo è copia delle mappe valoriali degli altri partecipanti con cui ci si sente connessi.
- Sviluppo di tecniche di socializzazione. Si apprendono life skills, quali la capacità di empatizzare con lo stato dell’altro, la capacità di regolare le proprie emozioni, di affinare le proprie competenze comunicative ed organizzative. Nella nostra esperienza clinica ci rendiamo conto che non si sa più dove e come incontrarsi, cosa è opportuno fare o non fare, cosa è proprio della sfera sociale e cosa della sfera intima. Sono da riscrivere tutti i codici di comportamento e pragmatica. In un’epoca in cui darsi del lei è desueto, utilizzare i titoli accademici è ritenuto provinciale e poco raffinato, dare il proprio numero di telefono è troppo intimo, rispetto a dare il contatto Instagram, al netto del fatto che, specialmente fra i giovani adulti o fra gli adulti ancora troppo giovani, spesso fra il contatto Instagram ed il numero di telefono sono già stati condivisi contatti sessuali.
- Comportamento imitativo. Ovvero: se lo fai tu, lo faccio anche io! Soprattutto in età evolutiva, l’esempio, il modellamento, l’infondersi fiducia e coraggio reciprocamente, hanno un grandissimo valore. Ecco che, quando ancora non si ha un’esperienza personale da richiamare ed eventualmente da consolidare ed installare con le molte tecniche psicologiche a disposizione, vedere nell’altro delle risorse, vedersi nell’esperienza dell’altro, in un contesto protetto, in una sospensione in cui i confini fra sé e l’altro sono “fisiologicamente attenuati”, senza sostanze, se non quelle endogene della connessione e delle risonanze, ha un potere ipnotico formidabile e trasformativo.
- Apprendimento interpersonale. Si apprende sempre dall’Altro, non si può non apprendere quando ci si avvicina all’Altro, e vale anche per noi terapeuti e terapisti, che apprendiamo dalle persone nel nostro lavoro clinico. L’energia che si sviluppa nelle connessioni interpersonali sostiene e facilita l’apprendimento. Ce lo dimostrano le Neuroscienze, ce lo descrive la Neurodidattica. E ‘una questione di amore e cortecce cerebrali. La corteccia Prefrontale Mediale sostiene ed è sostenuta dall’area Limbica, a sua volta informata ed informante dal Tronco Encefalico che connette SNC e resto del corpo. I neuroni specchio ed i circuiti delle risonanze descritti da Daniel Siegel chiariscono ulteriormente i fenomeni di apprendimento interpersonale. Più poeticamente, in un linguaggio maggiormente umanistico, possiamo dire che nell’era post -moderna, non si torna certo indietro, dall’autonomia alla dipendenza, ma si va avanti verso l’interdipendenza che non esclude il legame con l’altro, anzi lo magnifica.
- Coesione del gruppo. Durante il Covid è stato utilizzato molto il termine assembramento, scelta linguistica a nostro parere estremamente accurata per connotare negativamente lo stare insieme, far riecheggiare l’angoscia dell’orda imprevedibile e caotica, sprovveduta e senza senso etico (chi si assembrava si ammalava, chi si ammalava contagiava, chi contagiava uccideva ed eventualmente moriva). La costrizione all’isolamento, l’amplificazione del sospetto, l’accentuazione delle differenze. Nel gruppo terapeutico si trova coesione, dal latino cohaerēre ‘stare unito’ in qualcosa di sano, protettivo, prezioso, con il desiderio di contaminarsi dell’altro, di mettere insieme sé e l’Altro.
- Catarsi. Senso di liberazione, di leggerezza. Una sorta di coscienza condivisa che permette all’inconscio personale e gruppale di svelarsi, di entrare gentilmente nel gioco della condivisione, lasciando i singoli in uno stato di maggiore flessibilità, purezza imperfetta, per nulla in antitesi con la contaminazione ed il co – cambiamento che si realizza nel lavoro in piccolo gruppo. È ciò che spesso si vede e si vive al termine degli incontri, quando si ha la sensazione di avere lasciato qualcosa nella stanza di terapia, perché venga custodito, forse digerito. Cambiano linguaggio non verbale e fisiologia di chi esce dalle sedute attraverso il gruppo: sembrano tutti un po’ più dritti, più rosei, più ossigenati, più vitali e più lenti, come se ogni passo fosse meglio calibrato e come se ci fosse un ritmo, un ordine nell’uscire di scena, consapevoli che il lavoro maggiore si compie fra un incontro e l’altro.
- Fattori esistenziali. Dare un senso al proprio percorso. Mi piace parlare di senso attribuendolo al processo ed al concetto di integrazione. La psicoterapia in generale, e massimamente la terapia in gruppo, come altre terapie o percorsi di crescita spirituale, personale, culturale, affettiva, è tale se nel soggetto si compie l’integrazione delle parti di Sé rimaste o divenute, per varie esperienze, frammentate. Il senso di Sé è quel sentire che c’è una componente viscerale tollerabile, flessibile e serena, ben connessa alle componenti cognitive ed affettive. L’integrazione consente l’integrazione intra ed inter- individuale. Non c’ è senso sociale e relazionale pieno se non si realizza prima un senso di Sé coerente, stabile pur nell’alternarsi di stati e nel fronteggiare tutte le variazioni somatiche, ormonali, affettive, relazionali. Inoltre, esistere comporta la necessita di integrazione del corpo e delle sensazioni, la possibilità di fidarsi dei propri 5 sensi + 2 (interocezione e propriocezione fanno la loro parte nell’esperienza), allenando l’attenzione e allentando il controllo e la rigida razionalità. Infine, integrare i due emisferi cerebrali, il sinistro razionale, logico e digitale, con il destro, creativo, globale e analogico, permette di vivere appieno il proprio esistere.
IL NOSTRO ANDAR PER GRUPPI
I Gruppi del Centro Psico&Logo nascono da una formazione Gruppoanalitica, che presuppone che esista una matrice gruppale inconscia che mantiene le relazioni e le dinamiche vive e che è responsabile della crescita e a volte delle crisi dell’individuo e del gruppo stesso. I terapeuti garantiscono i confini e preparano al cambiamento, individuano le conflittualità e le crisi e ne orientano la risoluzione. Conducono uno o due psicoterapeuti, a volte è presente un osservatore che monitora la dinamica del gruppo e lavora con i conduttori, prima e dopo gli incontri, a leggerne i processi.
In un’epoca post – Covid, il passaggio dal concetto di assembramento al concetto di gruppo è necessario, ed inevitabilmente necessita di un atteggiamento attivo dei partecipanti e dei conduttori, in un’ottica di efficacia e di risultato. L’integrazione di concetti e prassi mutuati dall’Embodied Cognition, dalle teorie della comunicazione e dei sistemi, dal Coaching, dalla psicotraumatologia, è secondo noi un grande valore aggiunto.
Psicoterapia di Gruppo Adolescenti, Adulti e Giovani Adulti
Li concepiamo e realizziamo come Gruppi stabili nel tempo, a cadenza quindicinale. In genere seguono ad un primo periodo di psicoterapia individuale. A seconda del progetto personale, gli appuntamenti in piccolo gruppo possono alternarsi alle sedute individuali. Sono gruppi Slow Open, in cui in momenti specifici entrano nuovi partecipanti o ne escono altri, quando hanno concluso il percorso. La nostra esperienza è lunga e radicata; i risultati sono stati tangibili ed i partecipanti ne hanno tratto grandi benefici in termini di crescita e sperimentazione di sé.
Gruppi con bambini e ragazzi
Sono gruppi di Sostegno alla Crescita Psicologico – Relazionale dei giovanissimi, particolarmente penalizzati dai lock down, dall’isolamento sociale, dall’aver saltato alcuni appuntamenti evolutivi, dalla paura della contaminazione.
Sono gruppi Fast Open in cui i partecipanti seguono un progetto in genere di 6-9 mesi, rinnovabile, ed in cui la composizione cambia di anno in anno o di semestre in semestre a seconda dei bisogni evolutivi e terapeutici, abituando al cambiamento ed alla flessibilità i bambini. Crescere è separarsi dalle basi sicure verso nuovi legami significativi.
Li chiamiamo anche Gruppi “WE GAME” dove ci mettiamo in gioco attraverso la parola, il corpo, i 7 sensi.
GAME come Gioco ma anche come
Gruppi
Adattivi
Multidisciplinari
Espressivi
Adattivi perché parlare sempre di terapia rischia di patologizzare e di perdere il significato di ri – adattamento ai contesti di vita. Il sapersi adattare flessibilmente ai contesti istituzionali e sociali è ciò che si è perso, anche e soprattutto dopo il fenomeno covid che ha perturbato la naturale spinta alla socializzazione, allo scambio, all’accettazione dei limiti fra Sé e l’Altro, dove l’altro è la persona, ma anche l’istituzione.
Multidisciplinari perché uniamo ed integriamo le competenze psicoterapeutiche e riabilitative, non trascurando le contaminazioni derivanti da altre discipline artistiche e olistiche.
Espressivi perché il fine è cogliere, condividere osservare insieme non solo se stessi ma anche ciò che si crea ed esprime nell’incontro con l’altro, aprirsi all’esperienza.
Ci fa piacere lasciare questo riflettere con un obiettivo del lavoro attraverso il gruppo che è anche un prerequisito dello stesso: la fiducia nella vita, nell’esistere, nella ricerca di Sé nell’altro e nel lasciarsi trovare dall’Altro, come profonda esperienza che vale sempre la pena esistere, perché sempre si può trovare qualcosa che ci sostenga, ci guidi, abbia cura di noi.
Dr.ssa Chiara Saccà