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“Lasciare andare” per “abbracciare”: le due vie dell’accettazione e del cambiamento

Accettare il cambiamento, sebbene a volte sia stato desiderato e cercato, non è mai facile, ma è uno dei passaggi più potenti e fondamentali che possiamo intraprendere per crescere. Spesso siamo noi a potere e dovere decidere fra diverse strade, sono pochi i dilemmi, le scelte dicotomiche, il più delle volte, abbiamo almeno tre possibili scelte, soluzioni da percorrere con la consapevolezza e la lucidità che siamo liberi di decidere e liberi anche di sbagliare.

Alla base di ogni processo di crescita, a prescindere dalla specificità delle situazioni in cui ci troviamo a dovere o volere cambiare, che siano relative all’essere, al fare, allo stare o all’andare, all’avere o al dare, al sentire, al separare o all’amare, la vita stessa ci invita ad allenarci a due movimenti sinergici e apparentemente contrari: il lasciare andare e l’abbracciare. Due movimenti opposti, ma che, in realtà, sono complementari e necessari per percorrere il cammino dell’accettazione e del cambiamento.

Lasciare andare ciò che non ci serve più, eliminare le zavorre emotive che ci appesantiscono è un atto di coraggio, di consapevolezza, che implica un distacco dal passato, dalle vecchie convinzioni, dalle abitudini che ci limitano. Lasciare andare non significa perdere, ma fare spazio a qualcosa di nuovo, a una nuova versione di sé. È un liberarsi dalle aspettative irrealistiche, dalle paure che ci paralizzano, dalle relazioni che non ci nutrono più. Significa permettere  alle cose di fluire naturalmente, senza ostacolare il loro corso. Lasciare andare vuole anche dire acquisire consapevolezza del proprio funzionamento, riprendere il controllo delle proprie emozioni e delle proprie scelte, lasciando andare le emozioni negative quando insorgono, riconoscendole, denominandole, ricollegandole agli schemi relazionali disfunzionali che le sostengono e che spesso non riguardano affatto l’oggi, ma sono retaggi, automatismi consolidati in noi nella prima infanzia e riproposti alla nostra mente dal cervello, ogni volta che leggiamo in modo fallace i contesti in cui ci troviamo a vivere. Lasciare andare ci rende liberi di sperimentare nuove e migliori versioni di noi stessi e ci rende altrettanto liberi di fare errori nuovi, diversi, interrompendo gli schemi di risposta disfunzionali e la coazione a ripetere, di freudiana memoria. Quando lottiamo intensamente per qualcosa che non porta a risultati, rischiamo di precluderci la possibilità di scoprire nuovi orizzonti.

Abbracciare, d’altro canto, è il passo successivo: è l’accoglienza di ciò che arriva, l’apertura a nuove esperienze, a nuove persone, a nuove opportunità. Accettare ed abbracciare significa aprirsi al presente e al futuro con mente e cuore aperti, concedendosi la possibilità di sperimentare novità senza pregiudizi o blocchi, e senza fuggire dalle emozioni, anche quelle più dolorose, utilizzandole come carburante per andare avanti, come spia di noi stessi e del nostro funzionamento, come indicatore della direzione che stiamo prendendo, non facendo del dolore sofferenza, ma un elemento che concorre a generare il senso dell’esperienza.

Abbracciare il cambiamento richiede fiducia, anche quando non sappiamo cosa ci aspetta. È un movimento di accettazione, di ricezione, di amore verso ciò che è, anche quando non è quello che avevamo immaginato. Abbracciare significa essere disposti a evolverci, a imparare, a crescere, anche attraverso le difficoltà. La parola fiducia, soprattutto per i più giovani, risuona oggi come un bisogno di ritrovarne nelle relazioni, nel futuro, nel mondo del lavoro, nelle possibilità e talenti personali, nel proprio valore e nei valori condivisi. Rimanda al primo stadio teorizzato dallo psicologo e psicoanalista statunitense Erik Erikson (1902-1994) che suddivide in otto stadi lo sviluppo dell’identità, lungo il corso di tutta la vita. La fiducia di base è il prerequisito ad un buon sviluppo psicosociale e si acquisisce nei primi 18 mesi di vita, nelle cure dei genitori e di tutte le figure primarie di attaccamento. La difficoltà ad abbracciare il cambiamento con flessibilità ha molto a che vedere con le vicende personali, ma anche con i fenomeni collettivi, antropologici e sociali che se osservati con repentini e continui spostamenti di focus, dal micro al macro, dal particolare al globale, ci permettono di accogliere  i più giovani, di cui ci occupiamo come professionisti e genitori, con maggiore comprensione ed empatia, soprattutto ci permettono di accoglierli nella loro rigidità e difficoltà ad accogliere l’altro, nella crisi epocale e personale dei legami, e nella paura del cambiamento.

Questi due movimenti, lasciare andare e abbracciare, non sono separati, ma si intrecciano nel percorso di cambiamento. Quando rinunciamo a ciò che è vecchio e limitante, creiamo lo spazio per accogliere ciò che ci arricchisce e ci fa progredire. Creiamo spazio, che è tale se lo si chiama spazio, spazio potenziale, area di espansione, area di miglioramento, luogo interiore di crescita, ma che tuttavia può essere percepito come vuoto da coloro che restano bloccati in nicchie aride di non crescita, in cui mancano senso ed oggetti interiorizzati buoni, semi di cui avere cura, ed in cui manca la forza soggettivante. Manca perché si è smarrita o perché non è stata fornita con fiducia o amore nelle relazioni primarie o perché si vive negli esiti di effetti ed affetti traumatici di cui non si ha consapevolezza. Accettare può in questi casi voler dire anche accettare di dover essere promotori di sè stessi, autori del proprio cambiamento, primi sponsor della fiducia in sè stessi. Abbracciare in questo caso, non è solo abbracciare il cambiamento, con tutto ciò che comporta, ma è primariamente e fortissimamente abbracciarsi da soli, per poi farsi abbracciare.

Ma perché è così difficile lasciar andare ed abbracciare?

  • Il VUOTO della perdita dell’altro, del progetto, di sé stessi.


La paura, di restare emotivamente soli, di non essere più al sicuro, di dover ricominciare, è uno dei motivi principali per cui molte persone non riescono a lasciar andare. Questo attaccamento rigido è spesso radicato in esperienze passate che hanno determinato uno stile di Attaccamento disfunzionale che non riverbera solo sulle relazioni interpersonali ma su tutto l’investimento futuro nei propri progetti. Quando si affronta una separazione, quando si desidera cambiare strada, progetto, luogo, legami, subentrano spesso sentimenti di delusione o di sconfitta. Si intraprende un percorso di vero e proprio lutto ed il desiderio di evitare il dolore può bloccare il cambiamento, ricorrendo all’evitamento o alla repressione. Ma questi tentativi di difesa, di evitamento del dolore, ci allontanano dalla possibilità di affrontare e guarire, e ci tengono legati a ciò che non possiamo più cambiare. Avere una visione futura di sé, di dove si vuole andare, chi si vuole essere, con chi si vuole condividere, permette di sostenere ed usare il fisiologico disagio connesso al cambiamento ed estingue l’ansia anticipatoria irrealistica e dannosa che ci costringe a stare in una sofferenza cronica, spesso caratterizzata da micro traumi ripetuti.

  • La SICUREZZA


Il bisogno di sicurezza è un motore potente nelle nostre vite, ma può anche diventare una trappola. Spesso, ci aggrappiamo a situazioni o persone che pensiamo possano garantirci stabilità, anche se ci rendiamo conto che, in realtà, ci tengono in uno stato di tensione continua,  ci snaturano, ci sviliscono, ci bloccano in un ripetersi di microtraumi che hanno le loro radici nei traumi relazionali cronici e spesso nascosti, dei primi anni di vita, cui fanno da scenario e coro la famiglia, la scuola, il luogo di vita; tutti contesti che dovrebbero essere educativi e protettivi; che dovrebbero fornire l’ossatura robusta per affrontare la vita e l’alfabetizzazione affettiva che, oltretutto, sono alla base dell’empatia e dell’intelligenza emotiva.  Vivere nel costante ritorno al passato e nelle proiezioni di esso sul futuro ci impedisce di apprezzare il presente. Il nostro attaccamento al “sicuro” spesso è il vero ostacolo alla trasformazione, poiché ci rende incapaci di abbracciare la bellezza dell’incertezza, della poliedricità e del cambiamento.

  • PREGIUDIZI sul cambiamento


L’ignoto spaventa, perché ci sfida a lasciare ciò che conosciamo. Molti vedono il cambiamento come una minaccia, una degenerazione della nostra realtà, piuttosto che come un’opportunità di crescita. Il radicamento agli stati attuali, che comporta la rinuncia al bisogno di crescere, di competere, di contribuire, di conoscere entrando in relazione, tutti bisogni di alto livello insiti in Homo Sapiens secondo la prospettiva evoluzionistica, è sostenuto e decantato anche da una “saggezza popolare” stantia e legata a sistemi motivazionali molto arcaici, ed è presente in alcuni proverbi molto noti: “chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova”… “moglie e buoi dei paesi tuoi”… “si stava meglio quando si stava peggio”. Nell’architettura evoluzionistica di Jackson dei Sistemi Motivazionali di Homo Sapiens, ci troveremmo quindi nei livelli più antichi dei bisogni e delle motivazioni, tuttavia meno specifici della nostra specie, legati alla sopravvivenza di base, alla protezione dai pericoli, alla delimitazione del territorio ed alla riproduzione…..Tutto lì insomma. In altre parole, rinunciare al cambiamento, alla crescita personale, all’esplorazione, significherebbe restare ancorati ad un assetto difensivo, limitato e limitante che perpetua modalità primitive e reattive di esistere  che alimentano il sospetto, la sfiducia e l’aggressività verso l’altro, verso l’estraneo, verso il diverso. Comprendere che siamo esseri in continua evoluzione, che abbiamo bisogno di cooperare, contribuire, comunicare, conoscere, ci permette di vedere il cambiamento come una sinergia naturale della vita. Cambiamenti pensati, buoni per sé e per gli altri, progettati, pianificati e messi in atto con coraggio e fiducia, cambiamenti all’insegna dell’ ”andare verso” non solo dell’ “andare via da”, portando con sé quanto di utile c’è stato prima, non ultima la saggezza stessa dell’aver appreso cosa non si desidera, portano avanti il singolo individuo e, nell’interdipendenza reciproca, portano avanti i gruppi sociali, la cultura, l’umanità. Ce lo mostra l’omerico Ulisse, che esplora, cambia, rischia ancorandosi all’albero maestro ed al suo intelletto, rimanendo sé stesso nel cambiamento.

Come Gestire il Senso di Vuoto e Allenarsi all’Accettazione

Lasciare andare crea spesso una sensazione di “vuoto”, di incertezza. In questi momenti, l’accettazione gioca un ruolo cruciale. Accettare il cambiamento non significa subirlo passivamente, ma riconoscere che l’evoluzione è necessaria per crescere. Significa permettere a noi stessi di adattarci alle circostanze senza combattere contro ciò che non possiamo controllare. Quando accettiamo, ci liberiamo dalla lotta interiore, abbracciando la vita con tutte le sue sfumature, belle e difficili che siano. È attraverso questa consapevolezza che possiamo vedere il cambiamento come una porta aperta, piuttosto che come una barriera insormontabile. E’ un fluire continuo, un ondeggiare sul fiume del benessere interiore, continuando ad andare avanti verso il mare, un punto di arrivo che è un’apertura alla complessità della vita, dell’essere umano e degli incontri.

Da dove cominciare, in pratica, per allenarsi a lasciare andare e accogliere il cambiamento?

Ridurre le aspettative e le presupposizioni


Le aspettative sono una delle principali cause di ansia e frustrazione. Ci ancorano a visioni del futuro e del comportamento degli altri che, spesso, non si concretizzano come vorremmo. Inoltre, ci impediscono di vivere il presente. L’aspettativa genera una dipendenza tra passato e futuro, che ci allontana dalla possibilità di essere nel “qui e ora”. Trasformare l’aspettativa in un progetto realistico e in obiettivi concreti ci aiuta a ridurre la frustrazione e ad aprirci al cambiamento senza temere il fallimento. Allenare la curiosità, la sospensione del giudizio, l’ascolto attento ed attivo, la flessibilità interpersonale sono condizioni che permettono il reale incontro e la realizzazione di esperienze arricchenti e legami evoluti, rispettosi.

Porre attenzione ai propri segnali corporei


Lasciare andare è difficile quando il corpo è contratto e teso. Quando sono in circolo gli ormoni dello stress, quando il nostro Sistema Nervoso Autonomo reagisce fuori dalla nostra finestra di tolleranza, con reazioni vagali che ci attivano o disattivano in modo non funzionale al restare connessi, aperti, disponibili alla connessione con sè stessi e con gli altri. Tutta la nostra fisiologia ci informa sul nostro stato d’animo e ne è anche informato in un sistema a due vie che ci permette diverse vie d’accesso al benessere ed all’equilibrio. Corpo e mente sono profondamente connessi, e la tensione fisica è spesso il segnale che qualcosa non va a livello emotivo. Quando siamo in uno stato di resistenza interiore, anche la mente si irrigidisce, impedendoci di “cedere” alle nostre emozioni e di fare spazio al nuovo. Imparare a riconoscere e ascoltare i segnali del nostro corpo è essenziale per liberare la mente. Solo quando siamo rilassati e presenti nel nostro corpo possiamo veramente lasciar andare ciò che ci impedisce di evolvere. La consapevolezza corporea, in buona parte della ricerca psicologica degli ultimi 20 anni, è parte del benessere mentale e spesso è una via bottom up verso l’integrazione di Sé. La Mindfulness ed i concetti di Mindsight e dei livelli di integrazione di Daniel Siegel, come i recentissimi studi della neuroscienziata spagnola Nazareth Castellanos ne sono conferma e sintesi. Lavorare sul corpo e con il corpo è indispensabile nei processi di cambiamento e crescita e dovrebbe far parte di tutte le esperienze di educazione e cura, dalla psicoterapia, alla scuola (fino all’ università visto che il cervello matura fino a 25 anni), dagli ambienti sportivi alla formazione aziendale.

Smettere di controllare ogni cosa


Il controllo è una risposta naturale alla paura dell’incertezza, ma non possiamo controllare tutto. Il tentativo incessante di controllare la nostra vita, le persone o le situazioni ci tiene ancorati al passato, impedendoci di abbracciare la fluidità del presente. Come sottolineato dallo psicoterapeuta Alexander Lowen, il controllo è una forma di difesa che nasconde il timore di lasciare che le cose vadano da sé. Imparare a rinunciare al bisogno di controllo e permettere alla vita di “essere” è un passo fondamentale verso l’accettazione. Ciò non è tuttavia un invito ad abbandonarsi alle emozioni, a vivere reattivamente. Si tratta di un passaggio fondamentale dal controllo, che spesso rimanda simbolicamente ad una compensazione dell’impotenza percepita durante eventi traumatici ovvero durante l’età evolutiva trascorsa in contesti imprevedibili, instabili o francamente traumatici, alla gestione serena, attenta e consapevole delle emozioni, del tempo, delle relazioni, della comunicazione e delle nostre risposte somatiche.

Lasciare andare per abbracciare è il ciclo naturale della crescita. Ogni volta che lasciamo andare qualcosa di vecchio, facciamo spazio a qualcosa di nuovo. E ogni volta che abbracciamo ciò che arriva, impariamo a vedere il mondo con occhi diversi, più aperti e pronti a ricevere. Così, nell’equilibrio tra questi due movimenti, troviamo la chiave per una vita più piena e autentica. Lasciare andare, anche quando si perde una persona cara, ha il valore di aprire ad un territorio inesplorato, ha la dimensione e la funzione del dono, del lascito, che si riceve se lo si cerca. Cercare risorse in ogni processo di separazione, ogni volta che si lascia andare una persona, un progetto, un’emozione, ogni volta che si rinuncia ad oggetti, totem ed idoli, ci si assume la responsabilità di fare un primo passo verso un altrove da abbracciare, cui corrisponde un movimento interiore di ritorno alla parte più profonda di Sé.

Chiara Saccà e Francesca Moro

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