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Psicologia Giuridica e Procreazione medicalmente assistita

Il ruolo dello psicologo giuridico nella valutazione del Danno alla Persona, è sempre più definito e codificato, nonché riconosciuto.  Grazie all’opera dottrinaria di Paolo Cendon, fra il 2000 e il 2008 comincia ad essere individuato dalla giurisprudenza il danno esistenziale, definibile come la perdita della facoltà di trarre piena soddisfazione dalla vita per il disagio arrecato all’esistenza e al benessere della vita quotidiana. Nel 2012 le linee Guida per l’accertamento e la Valutazione Psicologica – giuridica del Danno alla persona dell’Ordine degli psicologi del Lazio hanno sistematizzato ed orientato tale ambito della Psicologia Giuridica e, recentemente, la Cassazione (Cass. civ., sez. III, Ord., 27 marzo 2018, n. 7513 – Pres. Travaglino ) si è espressa rispetto al danno non patrimoniale e la sua valutazione, sottolineando come essa sia competenza e responsabilità specifica dello psicologo giuridico. Alla luce di queste recenti evoluzioni e definizioni di campo, possiamo immaginare che in un futuro prossimo lo psicologo forense sarà chiamato ad occuparsi di danno alla persona sempre più spesso ed in ambiti inusuali, ma che già cominciano a delinearsi. Un ambito fra altri, in cui peraltro la persona ed il soggetto sono stati massimamente trascurati, è quello della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Con la sigla PMA si indica l’insieme delle tecniche utilizzate per poter concepire un figlio tramite metodiche chirurgiche, ormonali o farmacologiche. Semplificando molto, la fecondazione è definita omologa, quando i gameti utilizzati provengono dagli stessi membri della coppia. Si dice invece eterologa quando è necessario ricorrere ai gameti di un donatore o di una donatrice. Distinguiamo inoltre tra fecondazione in vivo e fecondazione in vitro. A norma di legge, il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita dovrebbe essere consentito solo quando è stata accertata dal medico l’impossibilità di rimuovere in altri modi la causa impeditiva della procreazione. Tali tecniche sono basate sui principi di gradualità e consenso informato. 

E’ del 2004 la legge 40 che regolamentava l’accesso, le possibilità ed i limiti della PMA. Negli anni successivi, la legge 40 è stata modificata sostanzialmente, passando da una prospettiva che tutelava l’embrione ad una prospettiva attuale che dovrebbe tutelare il diritto alla genitorialità. Tali passaggi, che hanno portato allo smantellamento della legge 40, sono avvenuti in un clima di neutralità, asetticità e frammentazione che trascura fortemente la persona e che è frutto di uno stile conoscitivo tipicamente attuale, trasversale ad ogni campo del sapere, connotato da superficialità e rapidità e che è improntato alla soddisfazione immediata del desiderio di genitorialità. Tale epistemologia frammentata non permette di cogliere la prospettiva futura, dimenticando paradossalmente l’articolo 32 della Costituzione in nome del rispetto dello stesso articolo 32. Tornando alla legge 40, le modifiche più sostanziali riguardano la decadenza dell’obbligo di produzione di soli tre embrioni per volta, con obbligo di provare ad impiantarli tutti, la riapertura alle tecniche eterologhe  (2014), l’accesso alle PMA delle coppie fertili portatrici di patologie genetiche con possibilità di diagnosi pre impianto. Resta tutt’ora vietata in Italia la surrogacy (utero in affitto) e l’utilizzo degli embrioni per la produzione di cellule staminali e per fini di ricerca.

In questo stato di fatto, si ipotizza che lo Psicologo Giuridico possa essere chiamato a rispondere a dei quesiti in tema di danno alla persona in alcune situazioni “limite” che probabilmente, in un’epoca un po’ più matura e disincantata, diverranno ordinarie.

In primo luogo, prendendo in esame il consenso informato preliminare alla PMA, si nota che, attraverso il “Nuovo regolamento sul consenso informato per le coppie che intendono accede alle tecniche di PMA” (Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 2017) uno sforzo di coerenza e un desiderio di informazione sembra esserci stato. Il documento sembra volere imporre maggiore chiarezza, benchè tutto ciò che non è stato chiarito negli anni precedenti potrebbe essere motivo di richiesta di risarcimento per danno esistenziale. Tuttavia, visionando alcuni moduli per il consenso informato che si trovano in rete, si nota immediatamente la volontà di rendere faticosa la lettura dell’intero documento, per il carattere grafico minuscolo e l’affollamento visivo. Si nota inoltre che i rischi per la salute della donna e del nascituro sono riportati in modo molto sommario. Si parla infatti spesso della sindrome da stimolazione ovarica, di un aumentato rischio di malformazioni e di un aumentato rischio di patologie genetiche, tuttavia diagnosticabili con la diagnostica prenatale. Mezza riga è dedicata alle possibili patologie genetiche non diagnosticabili, nulla riguardo agli eventi epigenetici, che si sviluppano cioè dall’incontro tra geni ed ambiente.  E’infatti accertato che l’ambiente modifica il modo in cui si esprime il dna di una cellula e basta poco perché nel dna si attivino dei geni e si silenzino altri sotto l’influsso dell’ambiente esterno, delle sostanze con cui la cellula viene a contatto, addirittura sotto l’influsso della luce. Nei moduli relativi al consenso informato, inoltre, non viene detto nulla riguardo altre patologie che si ipotizza abbiano un’incidenza maggiore nei bambini nati con PMA e che si manifestano tardivamente, non ultime le patologie del neurosviluppo (disturbi del linguaggio, disprassie, autismi, disturbi degli apprendimenti, ADHD, ritardi mentali o funzionamento cognitivo limite).

Molti genitori, pur avendo firmato il consenso informato, non sono neanche a conoscenza dei rischi connessi alla gemellarità, che interessa molti casi di gravidanze ottenute con PMA, soprattutto quando era in vigore l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti.

Nell’immaginario collettivo la PMA indicatore di controllo, di garanzia di qualità. Come se, avere sofferto, essersi sottoposti ad esami e cure, mettesse al riparo dalle evenienze negative. Si riscontra un buco logico, una mancanza di senso, un’impossibilità di integrazione cognitiva, quando si parla di situazioni criptogenitiche, di fattori epigenetici come se le persone coinvolte non riuscissero ad accedere all’informazione sul rischio, sempre che sia fornita.  Possiamo ipotizzare quindi che prendere coscienza che la PMA espone madri, nascituri ed interi nuclei familiari a difficoltà psicologiche e a patologie organiche di vario tipo produrrebbe sentimenti di colpa, di sgomento, infrangerebbe un’illusione di genitorialità conquistata faticosamente e quindi desiderata a maggior ragione perfetta. Sembra che ci troviamo in una preistoria, in cui non c’è ancora la maturità che consente una rappresentazione completa, orientata al futuro, delle implicazioni delle PMA. C’è frammentazione del pensiero, scarso contenimento delle emozioni, viene inoltre sollecitato un atteggiamento idealizzante, credulone, infantile. Il pensiero magico in ambito di PMA è preponderante. Ma cosa succederà quando la società passerà attraverso l’adolescenza ed acquisirà un pensiero logico – formale, guidato dal realismo, dal pensiero ipotetico deduttivo e dallo scopo di falsificare le ipotesi, base della conoscenza scientifica? Nasce il sospetto che la delusione, la presa di coscienza, lo sgomento di fronte a quanto taciuto, la sensazione di non avere potuto scegliere quale rischio correre, porterà molte famiglie e forse molti nati, una volta adulti, a chiedere giustizia ed un risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali. Le ripercussioni sulla vita individuale, sociale, familiare (le coppie spesso entrano in crisi e si separano) e sull’organizzazione degli aspetti di autorealizzazione sono spesso gravissime. Gli individui coinvolti nelle PMA spesso hanno una visione dicotomica: successo vs insuccesso. E nell’insuccesso è previsto solo il non diventare genitori, il lutto reale e simbolico; non si considerano tutte le situazioni in cui il trauma è legato ad una situazione di patologia del nascituro e della coppia e che si manifesta nel tempo e che spesso è permanente, irreversibile. Come ritirare la libido dall’oggetto, se si deve necessariamente restare ancorati all’oggetto del trauma, con tutte le implicazioni relative al futuro, alla realizzazione ed all’autonomia dei bambini? 

Allo psicologo giuridico spetterà il compito di valutare il danno personale e relazionale. Ipotizziamo alcuni casi, ricordando che dietro ad ogni caso (e causa) c’è una storia di vita.

Ci saranno molte altre riflessioni da aggiungere a tali spunti; sicuramente la responsabilità degli psicologi giuridici crescerà molto nei prossimi anni, soprattutto in quelle evoluzioni (o involuzioni?) della medicina in cui necessariamente il soggetto deve tornare protagonista, affinchè possa essere tutelato.

Dott.ssa Chiara Saccà

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